Il regno dell'impotenza... di Stefania Martani

Pubblicato il 13 luglio 2025 alle ore 13:57

Il regno dell'impotenza! Molti ( spero)hanno la percezione chiara di un rovesciamento dei valori, della violenza orrida dell' Occidente, di questo mostro che non si cura più di velarsi con la maschera del dirittumanismo.

Il regno dell'impotenza 

Siamo al genocidio in diretta, al criminale a piede libero che stringe la mano al mostro dagli occhi quasi penduli, all' anglo sfera che esalta i criminali e demonizza chi non si allinea. Non c'è più ipocrisia. Io ti ammazzo, mi prendo ciò che ti spetta perché posso. Punto. La prevalenza dell'interesse economico su quello umano, il tradimento costante dei valori, ormai è l' ossigeno che ci avvelena. Questa non è più un'intuizione per pochi, è una sensazione diffusa, quasi una certezza.

Agire... 

Logica vorrebbe che, di fronte a ciò che non va, si agisse. Invece, accade il contrario. Perché?
1)Senso di impotenza: Il sistema appare così vasto, complesso e potente che ogni azione individuale sembra inutile, come svuotare l'oceano con un cucchiaio. Questa sproporzione genera frustrazione e scoraggiamento.
2)Sovraccarico: Siamo bombardati da informazioni e stimoli negativi. La rabbia, per essere efficace, ha bisogno di un obiettivo. Quando gli obiettivi sono troppi e costanti, l'emozione si esaurisce e si trasforma in un rumore di fondo, un'ansia cronica che porta all'apatia.
3) Il rifugio nel "giardinetto": Di fronte a un mondo esterno percepito come ostile e non modificabile, l'istinto è quello di ritirarsi nell'unica sfera in cui si ha ancora un controllo: la propria vita privata, i propri affetti, i propri piccoli interessi. Parlare di soldi, donne, amori, motori "Curare il proprio giardino" diventa una forma di sopravvivenza psicologica.


L'aggressività deviata.


La rabbia e la frustrazione non scompaiono, semplicemente non vengono indirizzate verso la loro vera causa (il sistema, il potere). Si accumulano e, come un fiume che non trova il suo sbocco naturale, straripano dove possono, ovvero lateralmente. Si scaricano sul vicino di casa, sull'automobilista nel traffico, sull'ultimo nella scala sociale, sul diverso. L'aggressività si sfoga sul bersaglio più facile e meno rischioso, mai su quello più giusto. È per questo che "siamo tutti più cattivi": l'inciviltà diffusa è il sintomo di questa rabbia impotente.
"Torniamo umani e gentili".
La gentilezza ( con le persone giuste, o il dialogo o, almeno, con gli irriducibili, un' intelligente indignazione che poi abbandona il suo oggetto)diventa un atto politico e di resistenza.


Significa rifiutare consapevolmente di partecipare al gioco dell'aggressività deviata. Significa interrompere la catena dell'inciviltà nel proprio piccolo raggio d'azione. Se non posso cambiare il mondo, posso decidere di non riversare la mia frustrazione sul prossimo. Posso scegliere l'empatia al posto del giudizio, l'ascolto al posto dell'attacco.
Questo "tornare umani" è l'unico modo per ricostruire dal basso quel tessuto sociale che l'apatia e la rabbia stanno sfilacciando, reclamando un potere fondamentale: quello di decidere come rispondere al mondo, anche quando non possiamo decidere come il mondo debba essere.
A questo punto la domanda potrebbe essere: questa gentilezza è una forma di resa, un modo più sofisticato di ritirarsi nel proprio giardino, oppure è l'unica vera rivoluzione possibile?

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